COS’È LA RISTRUTTURAZIONE CONSERVATIVA?
ECCO COSA SAPERE
Esiste una regolamentazione che legittima gli interventi di restauro di edifici di importanza storica o artistica?
La risposta è sì, e arriva dal Decreto Legislativo n.42 del 2004, una serie di norme che indicano il significato letterale e legale del concetto di restauro conservativo.
Vediamo, dunque, come funziona questo tipo di opera edilizia, cosa è necessario per metterla in atto e quali sono gli ambiti di applicazione.
Cos’è il restauro conservativo?
Quando si parla di restauro conservativo non si può prescindere dal citare anche il risanamento conservativo.
Così come riportato nel Decreto Legge n.50 del 24 aprile del 2017,
si definiscono restauro e risanamento conservativo quegli interventi edilizi rivolti a consentire il corretto
(e sicuro) utilizzo di un edificio, ad implementarne la funzionalità e a valorizzarlo sia dal punto di vista strutturale che da quello artistico.
Perché si possa parlare di entrambe queste tipologie di intervento, infatti, è necessario prestare attenzione a 5 aspetti fondamentali:
- tipologico: di che tipo di edificio si tratta? Una costruzione popolare? Civile? Un’abitazione signorile?;
- formale: quali sono i connotati dell’edificio?;
- strutturale (linee, volumi, superfici, ecc.);
- architettonico: quante pareti sono presenti nell’edificio? Quante travi? Quanti architravi?;
- artistico.
Valorizzare un immobile, uno stabile o parte di esso facendo ricorso al restauro conservativo significa,
dunque, mettere in atto dei lavori che includano interventi che mirino a rinnovare la struttura esistente,
a consolidarne o a ripristinarne l’aspetto originario; l’inserimento di impianti specifici alle diverse esigenze d’uso
(è l’esempio, nel caso di una struttura adibita a museo, dell’installazione di un ascensore per disabili)
e l’eliminazione di elementi estranei all’edificio stesso, come anche la demolizione di parte della struttura stessa se considerata fatiscente
Qual è la differenza tra restauro conservativo e risanamento conservativo?
La differenza tra le due tipologie di intervento sta nell’obiettivo alla base dell’intervento stesso.
Si parla, dunque, di restauro conservativo quando il fine principale di chi ha commissionato i lavori è quello di recuperare
le peculiarità storico-artistiche dell’edificio, anche se con l’utilizzo di materiali diversi da quelli originari.
Si parla di risanamento conservativo, invece, quando il proposito è quello di modificare l’aspetto dell’edificio,
recuperarne l’aspetto igienico e quello funzionale o apportare delle migliorie in termini strutturali.
In entrambe i casi è possibile cambiare la destinazione d’uso dello stabile, purché questo non ne muti il carattere.
La ristrutturazione conservativa può essere associata ai lavori di manutenzione straordinaria?
Anche in questo caso la risposta è sì, ma con una precisazione:
nel caso di restauro conservativo questo non può essere avviato senza il permesso della Soprintendenza,
che determina, appunto, la fattibilità di interventi a scapito di edifici e zone considerate di alto valore artistico e culturale.
In ogni caso, prima dell’inizio dei lavori, sarà necessario procedere con la presentazione della Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata (CILA),
in caso di semplici opere di manutenzione o restauro.
La SCIA, invece, andrà presentata per gli interventi di natura strutturale.